FOTOGRAFIE: Inês Silva Sá
Iany Gayo e Lucrezia Papillo, designer e cofondatrici dello studio MACHEIA, uniscono le loro competenze in architettura e design sostenibile per dare vita a creazioni uniche, a metà strada tra artigianato e design contemporaneo. Nel 2020 hanno fondato il loro studio, esplorando tecniche antiche come l’intreccio del giunco e integrando al tempo stesso biomateriali innovativi. Il loro impegno le ha portate a partecipare all’esposizione DIVINE di Sessùn, dove hanno reinterpretato l’iconica borsa con un biomateriale a base di alghe. Incontro con un duo creativo e determinato a valorizzare l’artigianato.
Potreste presentarvi e raccontarci un po’ del vostro percorso?
Abbiamo fondato il nostro studio di design nel 2020 e da allora lavoriamo insieme, come duo. Lucrezia proviene dal design sostenibile, mentre Iany ha studiato architettura. Ci siamo però presto rese conto che questi ruoli non corrispondevano al modo in cui volevamo crescere. Oggi ci muoviamo in una zona di confine tra progettisti e artigiani, con una forte componente artistica. Crediamo che ciascuno di questi ruoli affondi le radici negli stessi valori e condivida molte qualità, pur differenziandosi su aspetti come la trasmissione del sapere, il senso di comunità e l’identità personale. Gran parte della nostra energia è dedicata a sviluppare l’innovazione attraverso la ricerca sulle pratiche antiche.
Come vi siete incontrate e come avete deciso di collaborare?
Ci piace dire che ci siamo incontrate grazie a una pianta. È stato così per noi due, ma anche per il primo artigiano con cui abbiamo collaborato. Nel 2020, mentre terminavamo entrambe il nostro master ed esploravamo l’artigianato, siamo rimaste profondamente colpite da Manuel Ferreira: dal materiale che utilizza, il giunco, e dalla tecnica particolare che vi è legata. Abbiamo così iniziato a fargli visita a Santarém, dove vive e lavora. Più condivideva generosamente con noi il suo sapere, più crescevano la nostra fascinazione e il nostro interesse. Abbiamo sentito anche il bisogno di preservare questa tecnica in via di scomparsa e tutto ciò che essa rappresenta.
Potreste spiegarci come è nato il progetto MACHEIA e che cosa cercate di esplorare?
Questo progetto è nato dall’esigenza di lavorare con qualcosa di tracciabile, prezioso e autentico. In un’epoca in cui tutto corre veloce, perdiamo facilmente il contatto con l’essenza stessa delle cose. L’artigianato è l’antidoto perfetto a questo fenomeno: insegna a rallentare, a osservare, ad ascoltare e a mettersi in discussione. Ed è proprio ciò che è accaduto durante il primo mese di lavoro con Manuel Ferreira. La nostra motivazione costante è mettere in luce le storie di materiali, tecniche e artigiani, ripensandole e adattandole ai nostri tempi.
Qual è l’origine del nome MACHEIA?
MACHEIA, che in inglese significa “handful”, è un termine gergale dell’artigianato portoghese che indica una misura pari al contenuto di una mano. Racchiude l’idea che ogni creazione artigianale sia lo specchio del suo autore e che, non esistendo due mani identiche, non possano esistere due pezzi artigianali uguali.
Il vostro lavoro con MACHEIA mette in risalto fibre naturali e tecniche antiche. In che modo questi elementi influenzano le vostre creazioni?
Le tecniche tradizionali sono una preziosa riserva di savoir-faire e di conoscenze tramandate, che influenzano il modo in cui desideriamo rappresentare e far evolvere il design contemporaneo, sia attraverso un’installazione sia sotto forma di un oggetto con una funzione specifica. Le fibre naturali hanno il potere di ricondurci alla loro origine - letteralmente alla terra da cui nascono e vengono raccolte. Le nostre creazioni finiscono così per essere una sorta di istantanea: raccontano una storia, una proprietà materiale o un altro aspetto della ricerca che ci guida.
Come descrivereste la relazione tra ricerca e produzione nel vostro lavoro?
Ci piace definire la nostra pratica come “ricerca basata sui materiali”. Certo, vi è sempre un’integrazione di tecniche, ma queste non sono altro che la comprensione e l’interpretazione di un materiale con un obiettivo preciso. In questo senso intraprendiamo percorsi di ricerca a partire dai materiali stessi, come è stato con il giunco e come stiamo iniziando ora con il cuoio, per esplorarne e impararne le possibilità, insieme alle storie che possono raccontare. La produzione diventa così la materializzazione di questa ricerca, attraverso diversi canali: realizzata da noi stesse o insieme ad artigiani collaboratori, a seconda del progetto.
Per celebrare i 10 anni della borsa DIVINE di Sessùn, abbiamo invitato quindici artigiani, tra cui voi, a reinventare questo modello iconico. Potreste parlarci della vostra partecipazione a questo progetto e di come avete reimmaginato la borsa Divine?
Ripensare la borsa Divine ci ha permesso di vivere molte “prime volte”. È stata senza dubbio la primissima occasione in cui ci siamo cimentate nella creazione di una borsa: una sfida che per noi è stata al tempo stesso stimolante ed entusiasmante. Dall’altra parte c’era il materiale - un biomateriale a base di alghe - che abbiamo sviluppato appositamente per la borsa Sessùn. Su invito di Biolab Lisboa abbiamo preso parte a un progetto chiamato Atlantic Futures, nell’ambito del quale da alcuni mesi portiamo avanti ricerche sui biomateriali. La borsa è stato il primo risultato concreto di questo percorso di ricerca.
Ci è parso naturale realizzarla proprio con il materiale che più stava catalizzando la nostra attenzione e il nostro impegno. Soprattutto in quanto si tratta di una celebrazione che non si limita a ripercorrere la storia della borsa, ma ne proietta la continuità e l’esistenza nel futuro. Crediamo infatti che i biomateriali rappresentino una via essenziale per il futuro del design.
Cosa portate con voi da questa collaborazione con Sessùn?
Il fatto che quando la libertà creativa è sovrana, uno stesso concetto può dar vita a un’infinita varietà di espressioni.
Che cosa evoca per voi Sessùn?
Sessùn incarna la celebrazione della bellezza. Spesso, in quanto designer, tendiamo a lasciarci trascinare dalla funzionalità e dall’utilitarismo. Ma crediamo che la bellezza sia una qualità imprescindibile, da ricercare sempre. Per noi, come per Sessùn, la bellezza risiede nella semplicità e nell’autenticità dei materiali.