FOTOGRAFIE: JOHN REEG
Dei suoi ricordi d’infanzia, trascorsa tra il bacino di Arcachon e il Lot-et-Garonne, Héloïse Busquet ha conservato sapori unici e profumi gioiosi, che sono diventati il punto di partenza della sua passione per la cucina. Per preservare la sua libertà e autenticità, lavora in maniera itinerante, quando non si dedica a progetti culinari creativi, reinventando il picnic o invitando chef a cucinare a casa sua. Accoglie regolarmente l’invito di residenze sparse in tutta la Francia. Queste esperienze variegate ne fanno una chef audace, diretta e sensibile.
Per la sua seconda residenza da Sessùn Alma, fino al 9 novembre 2024, propone una cucina delicata, costruita attorno a prodotti di stagione.
Héloïse sta preparando l’apertura della sua table d’hôte “Feu Follet” a Cap-Ferret, che proporrà cene private e inviterà anche altri chef a cucinare.
Quale ruolo occupa la regione del Sud-Ovest nella tua identità culinaria?
I miei primi ricordi gastronomici sono un intreccio tra la cucina di mia nonna, originaria del Lot-et-Garonne, e il sapore iodato del bacino di Arcachon, il luogo in cui sono cresciuta. Ogni estate mia nonna mi accoglieva ad Agen. Ricordo perfettamente i piatti che ci preparava, in particolare i funghi porcini ripieni con salsiccia, aglio e prezzemolo, e le melanzane con l’agnello… È una regione baciata dal sole, dove le verdure estive hanno un ruolo fondamentale: i pomodori di Marmande sono semplicemente irresistibili. Ricordo anche quando preparavamo le confetture, con frutti così dolci che quasi non serviva aggiungere zucchero. Sono stata segnata anche dai sapori iodati del Cap-Ferret, dove si mangiano ostriche già dalle 11 del mattino, al mercato o direttamente in barca! Ho ricordi molto gioiosi della pesca alle vongole e ai cannolicchi sui banchi di sabbia… Tutti questi ricordi costituiscono il punto di partenza della mia avventura culinaria, che si è poi arricchita grazie ai viaggi, in particolare attorno al Mediterraneo.
La cucina è nata da un percorso di riconversione. Cosa ha motivato questo cambiamento?
La cucina ha sempre fatto parte della mia vita, occupando via via uno spazio sempre maggiore, fino al momento in cui mi è sembrato naturale dedicarle tutto il mio tempo. Tutto è avvenuto in modo naturale. Ho deciso di seguire una formazione che mi permettesse di esercitare questa professione e poi ho colto le opportunità che si presentavano lungo il cammino. Ho iniziato organizzando cene per occasioni speciali per privati a Cap-Ferret. Questa prima esperienza mi ha insegnato che l’adattamento è fondamentale, che bisogna essere capaci di improvvisare e inventare continuamente di fronte agli imprevisti. Ho fatto anche molto catering in questa regione, che ospita spesso set cinematografici. In seguito mi ha attratta la cucina nella ristorazione, con l’idea di praticarla in forma itinerante per preservare la mia libertà e autenticità. Oggi questo percorso mi porta a lavorare in residenze come quella da Sessùn Alma, ed è ogni volta una gioia scoprire una nuova cucina e produttori di talento.
Raccontaci il tuo percorso come chef itinerante. Qual è il tuo punto di vista su questo fenomeno?
L’itineranza è un modo di lavorare che si è davvero sviluppato negli ultimi anni. Per me, è stata una splendida opportunità! Spostarsi per lavorare permette degli incontri autentici con i produttori, una riflessione sul posto e sul ruolo dello chef all’interno delle istituzioni e un libero arbitrio che inevitabilmente si riflette nei piatti. Offre inoltre una certa “freschezza” e la possibilità di prendere distanza dal proprio lavoro. In altre parole, l’itineranza crea una nuova dinamica tanto per lo chef quanto per il ristorante, in costante movimento ed evoluzione. Ed è un’idea che mi piace. Il modo di consumare e di nutrirsi è cambiato profondamente, e l’emergere di questa nuova concezione della cucina va di pari passo con un ritorno all’artigianato e al prodotto grezzo.
Proponi diverse forme di pasto, in particolare i picnic. Secondo te, com’è un picnic ben riuscito?
Fare un picnic significa, prima di tutto, mangiare all’aperto. In spiaggia, in montagna, in treno, in un parco, tra un appuntamento e l’altro… Ho cercato di soffermarmi su questo momento preciso, spesso fagocitato dall’industria alimentare che propone piatti pronti, pensati soprattutto per essere pratici, senza una vera attenzione all’impatto ambientale e, il più delle volte, senza sapore. Questi prodotti ci tolgono il piacere che potremmo provare nel riscoprire un piatto in queste circostanze. Il mio desiderio è rimettere al centro il mangiar bene e il sapore, anche in questi momenti semplici e spesso condivisi. Per organizzare un buon picnic servono prima di tutto gli utensili giusti (lunch box riutilizzabile, thermos, posate, portauova, tovaglioli recuperati ai mercatini, coltellino svizzero…). E ricordarsi che creare una ricetta fuori dalla propria cucina non è poi così difficile! Un picnic ben riuscito consiste soprattutto nel creare momenti che diventeranno ricordi importanti, pieni di significato.
Che ruolo occupa la natura nelle tue creazioni e nelle tue esperienze culinarie?
Spesso mi sento molto meglio immersa nella natura che nelle città, anche se ogni tanto ho bisogno di una piccola dose di energia urbana. Ciò che mi emoziona davvero è creare pranzi “selvaggi” sull’oceano o in montagna. Ne organizzo nel Sud-Ovest, a Cap-Ferret o nei Paesi Baschi. Nei miei piatti c’è una vera e propria dimensione floreale e vegetale, anche se non sono affatto vegetariana! Mi piace molto valorizzare questi prodotti, lavorandone l’aspetto grezzo e facendo emergere il gusto autentico di ogni elemento che compone un piatto.
Stai lanciando un progetto di table d’hôte, chiamato Feu Follet, costruito attorno a residenze e collaborazioni con chef. Puoi raccontarci qualcosa di più?
Questo progetto mi permette di portare avanti il mio desiderio di riunire le persone e creare momenti conviviali attorno a una table d’hôte. È anche un modo per proseguire il mio percorso itinerante senza perdere il legame con le mie radici. Questo luogo si trova a Cap-Ferret, a La Vigne, tra il Bacino e l’Oceano…
Vorrei che le persone si sentissero accolte come a casa, che potessero condividere un momento in famiglia o tra amici, ritrovandosi in un contesto più intimo rispetto a un ristorante… Saranno le stagioni e gli chef itineranti a scandire il ritmo di questo spazio, offrendo ogni volta esperienze diverse.
Per me è fondamentale valorizzare lo sguardo di chef itineranti che possano portare le loro proposte culinarie a questa tavola privata. Amo l’idea di introdurre in questa regione altre culture gastronomiche.
Per la tua residenza da Sessùn Alma a Marsiglia, che tipo di cucina desideri mettere in risalto?
Vorrei proporre piatti freschi e incentrati sui prodotti. Sarà una cucina frutto dell’incontro tra i produttori locali e il mio savoir-faire, orientata verso la freschezza, il floreale e il vegetale. Cucinerò da settembre a novembre e quindi passeremo dal pomodoro alla zucca… Con due parole d’ordine: semplicità e valorizzazione.
Qual è il piatto da non perdere durante la tua residenza?
Amo lavorare in modo intuitivo, seguendo i prodotti che arrivano in cucina. I produttori partner di Sessùn mi aggiornano due volte a settimana sulle novità e io creo i miei piatti a partire da lì. Il menù sarà quindi in continua evoluzione. Per la fine dell’estate, ad esempio, immagino piatti solari e vibranti: tagliatelle di zucchine con ricotta di capra, bottarga ed erbe fresche, oppure un crudo di pesce accompagnato da lime e anguria, servita come succo o in versione granita. Vorrei anche far scoprire ai clienti di Sessùn un riso cotto in foglie di vite. Non vedo l’ora di lavorare con i funghi che arriveranno a settembre e creare piatti che uniscono, ad esempio, shiitake, portulaca, farro e pere in agrodolce. Per quanto riguarda i dessert, lavorerò esclusivamente con la frutta. Proporrò spesso crostate o dessert leggeri che uniscono formaggi freschi, croccantezza e frutta arrostita.
Che cosa evoca per te Sessùn?
Sessùn per me evoca un’idea di autenticità. Ogni scelta sembra fatta con il cuore, e credo sia una promessa di intemporalità. I capi e gli oggetti proposti hanno una singolarità che mi affascina. Apprezzo molto il fatto che Sessùn difenda gli artigiani e i creatori: è importante scoprire la personalità che ha immaginato e concepito ogni creazione. La storia dietro un oggetto permette di farlo proprio e di averne cura. È fondamentale che iniziative come questa esistano, in un mondo che sembra orientarsi inesorabilmente verso una visione effimera degli oggetti che ci circondano.
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