FOTOGRAFIE: STÉPHANIE DAVILMA
Originaria di Lione, Lou Chapuis è cresciuta con una cucina mista e dal carattere deciso, ispirata dalle sue radici franco-vietnamite. Dopo diversi anni nel settore pubblicitario a Parigi, ha scelto di seguire la sua passione per la cucina, intraprendendo un percorso audace che l’ha portata dal Messico a Marsiglia. Chef itinerante, Lou moltiplica le residenze culinarie, intrecciando scoperte locali e creatività, con una predilezione per i sapori asiatici e i prodotti di stagione.
Quest’inverno, fino al 2 febbraio da Sessùn Alma a Marsiglia, Lou Chapuis propone una cucina calda e autentica, dove brodi ed erbe fresche sono i protagonisti.
Puoi raccontarci il tuo percorso? Dalla comunicazione alla cucina è un bel salto! Che cosa ti ha spinta ad abbandonare la tua carriera a Parigi per intraprendere l’avventura culinaria nel 2020?
Sono cresciuta a Lione, ci ho vissuto per 20 anni ben radicata, poi non ho fatto che spostarmi. La mia carriera è cominciata a Parigi, in un’agenzia di comunicazione. Ma ho sempre cucinato: la cucina è sempre stata presente, da che ho memoria. In un primo momento ho scelto di non farne il mio mestiere. Poi, a Parigi, il mio lavoro aveva iniziato a starmi stretto: sentivo il bisogno di qualcosa di nuovo, di più intenso. Ho lasciato l’impiego senza un vero piano B, sono partita per il Messico e, quando è arrivato il Covid, ci sono rimasta. Avevo bisogno di fare qualcosa di radicalmente diverso: la cucina era l’orientamento più sincero e naturale che potessi seguire. Ho scelto di non intraprendere una formazione, temevo di perdere tempo ad apprendere una cucina troppo distante da quella che amo. Oggi non so se sia stata la decisione giusta: credo che avrò sempre l’impressione di non saperne abbastanza. Ma è anche ciò che mi spinge a cercare da sola nuove soluzioni.
La tua cucina porta l’impronta di un métissage franco-vietnamita. In che modo le tue origini e il tuo patrimonio familiare influenzano le tue creazioni?
Le mie origini sono molto presenti: sono cresciuta con una cucina mista, anche se non propriamente tradizionale vietnamita, era piuttosto più ampia. Oggi, in un modo o nell’altro, i miei piatti tendono sempre a guardare verso l’Asia. Per quanto riguarda il Vietnam in particolare, cerco sempre di esaltare la freschezza con molte erbe e giochi di texture. Il peperoncino e il nuoc-mâm non mancano mai.
In quanto chef itinerante, alterni diverse residenze culinarie. Qual è il tuo punto di vista su questo fenomeno?
Credo che sia un formato liberatorio per gli chef: poter uscire dalle proprie cucine ed esplorare altri universi. Oggi mi sento grata e appagata per il fatto di poter vivere così tante esperienze. Non so quanto durerà, quindi ne approfitto al massimo. D’altra parte, è anche un formato imperfetto e limitante. Una cucina si costruisce con il tempo: che si tratti dei fornitori, dei prodotti o delle persone con cui collabori, è sempre un lavoro di squadra. Serve un minimo di tempo per dar vita a qualcosa di coerente. Oggi penso che sia un modello con i suoi vantaggi e i suoi limiti, che merita di esistere ma che va strutturato affinché tutti possano lavorare nelle condizioni giuste.
Quest’estate, insieme allo studio Baïta ad Arles, avete lanciato un snack-bar effimero. Che ruolo gioca lo street food nel tuo approccio culinario?
Mi piace cimentarmi in questo esercizio di tanto in tanto: all’Idéal preparavamo spesso panini, e il campo delle possibilità è vastissimo.
È un approccio più libero, molto legato al piacere. Meno pretenzioso rispetto al fine dining, anche se ormai le proposte diventano sempre più sofisticate - e ben venga! Come accade per le diverse residenze che realizzo, non mi sento ancora legata a un’identità definita: mi piace sperimentare e lo street food rientra in questo gioco.
Qual è il tuo ricordo più bello in cucina fino ad oggi? Un piatto, un incontro o un momento speciale?
Può sembrare scontato, ma la cucina è fatta di incontri. È il motivo per cui faccio questo mestiere: per riunire le persone, creare legami. Per me, prima di tutto, è condivisione. Oggi, con i social, la competizione sembra senza fine. Per me, invece, la cucina deve restare qualcosa che nutre e che fa stare bene. Credo che il mio amore per la cucina sia nato in famiglia, e si sia radicato definitivamente dopo uno stage fatto a soli sette anni nel ristorante di Sonia Ezgulian. Il vero punto di svolta professionale è arrivato a Marsiglia, quando Julia Sammut mi ha affidato le chiavi del suo ristorante nonostante avessi appena un anno di esperienza. Sono gesti di fiducia e di generosità, compiuti da donne che condividono una passione autentica per la cucina, per i prodotti, per il nutrire e il condividere.
Che cosa ti ha spinta a stabilirti a Marsiglia e in che modo questa città influenza la tua identità culinaria e i tuoi progetti creativi? In che senso questo radicamento a Marsiglia risuona con lo spirito e i valori di Sessùn?
Mi sono trasferita a Marsiglia quattro anni fa perché ero in cerca di stimoli. E non sono rimasta delusa: dal mio arrivo tutto si è susseguito con una rapidità sorprendente. Marsiglia è un vero incubatore, popolato da persone ispiranti che portano avanti i propri progetti in autonomia. Penso che l’80% delle persone che mi circondano siano indipendenti, per lo più donne. Marsiglia lo rende possibile: è una città più accessibile, e soprattutto meno opprimente rispetto a Parigi. Qui c’è più spazio per l’imperfezione, ci sono meno barriere, meno competizione… e allora la gente si lancia. Certo, c’è anche meno denaro, ma in compenso abbiamo il mare! Per me i valori di Sessùn sono legati all’artigianato, alle materie grezze. La qualità dei prodotti è il cuore della mia cucina, tutto parte da lì e amo lavorare con produttori responsabili.
In che modo ti assicuri che i tuoi piatti siano sempre radicati nei prodotti locali e di stagione?
Ogni volta parto da questo principio. Ed è anche la parte più difficile quando si fanno residenze in città o paesi nuovi: bisogna davvero immergersi nei prodotti locali, perché quella è la base. Poi ci sono alcuni elementi che costituiscono l’ossatura della mia cucina, e che ritornano sempre, ovunque e in qualunque stagione. È l’incontro tra le mie basi e i prodotti disponibili che mi serve da filo conduttore per costruire i miei menu. Il vantaggio, questa volta, è che gioco in casa, con produttori che conosco.
Per la tua residenza da Sessùn Alma a Marsiglia, che tipo di cucina desideri mettere in risalto?
Vorrei mettere in risalto una cucina che accompagni l’arrivo dell’inverno: mi concentrerò soprattutto sui brodi e su piatti confortanti, ma sempre freschi. Sono appena rientrata da un viaggio in Corea: sicuramente ci sarà un accento asiatico, per cambiare un po’! Ma soprattutto vorrei proporre una cucina centrata: è l’obiettivo che mi do per questa residenza, piatti forse più semplici ma più equilibrati, con grande attenzione ai condimenti. Sempre con tante erbe aromatiche. E ravioli, tanti ravioli.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Dove potremo scoprire le tue prossime residenze o creazioni?
Per ora il 2025 sta prendendo forma. Tutto quello che so è che approfitterò al massimo di Marsiglia durante la mia residenza, perché rischio di non vederla molto quest’anno.
Cosa ti evocano Sessùn e Sessùn Alma come Maison e come luogo?
Per me Sessùn e Sessùn Alma valorizzano i savoir-faire artigianali, dando priorità a materie prime grezze e solari. Credo che questo luogo offra alle chef e agli artisti l’opportunità di esprimersi in un contesto sano. Sono molto entusiasta all’idea di potermi stabilire per diversi mesi in una cucina, soprattutto con fornitori che conosco, così da poter approfondire il mio lavoro e la mia identità.
SCOPRI IL LOOK DI LOU CHAPUIS